Post Scriptum: Dopo il colloquio mazziniano dello scorso 16 dicembre sugli Stati Uniti, mai avremmo ipotizzato di trovarci a commentare fatti come quelli del 6 gennaio, anche se intimamente ognuno di noi poteva nutrire qualche sospetto sull’escalation di tensione e violenza alimentata dal presidente uscente. L’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Donald Trump, incapace di accettare la scelta del popolo americano nelle elezioni più partecipate della storia statunitense, rappresenta una ferita alla democrazia mondiale, i cui effetti velenosi si manifesteranno nel corso del tempo. QAnon e gruppi neonazisti, che indossavano magliette inneggianti ad Auschwitz e avevano con sé armi e lacci per legare i deputati, sono stati complici di un “colpo di stato”. Quanto il tentativo sia stato improvvisato o meno lo stabiliranno le indagini, i cui contorni diventano sempre più inquietanti. Non si può neppure “giustificare” quanto accaduto al Campidoglio come una reazione “legittima” ai BLM o agli Antifa, i cui eccessi di violenza, culminati nell’abbattimento della statua di Cristoforo Colombo sono deprecabili, ma lontani anni luce dalla gravità di quanto accaduto a Capitol Hill.
L’assalto al Campidoglio è figlio di un abbrutimento della politica accentuatosi, negli ultimi anni, anche grazie all’uso fazioso e manipolatorio dei Social Network. Ben venga il blocco degli account Twitter e Facebook di Donald Trump, se serve a sollecitare una matura e profonda discussione sul rapporto tra Social, democrazia e legislazione. Angela Merkel ha ribadito che “è possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale”, mentre il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha ricordato opportunamente che “la regolamentazione dei giganti digitali non può essere fatta dalla stessa oligarchia digitale. L’oligarchia digitale è una delle minacce che gravano su Stati e democrazie”. Il problema è che di fronte al Far Web, non può essere un singolo stato ad intervenire, ma è necessario lo sforzo di organisimi sovranazionali – come per quanto concerne le materie ambientali – che sovente incontrano l’ostilità dei paesi sovranisti e di un neoliberismo selvaggio.
Inoltre è opportuno ricordare che proprio un anno fa, di fronte ai tentativi dell’Unione Europea di tassare i giganti del Web, tra cui Facebook, Amazon e Google, Donald Trump minacciò di portare i dazi sui prodotti continentali al 100%. Gridare alla censura per il blocco agli account del Presidente americano, che ne ha fatto un uso sistematico per screditare ed insultare gli avversari, sembra dunque eccessivo. Se si entra in una proprietà privata, che sia casa di un amico, un ristorante od una piattaforma Social, non si possomp appoggiare le scarpe sporche sul divano o insultare chi ci pare. Questa non è democrazia e non è libertà di pensiero.
Sarebbe ora che la politica cominciasse a riflettere sulla possibilità di fare a meno dei Social Network, o più banalmente, di farne un uso civile ed umano. Ed uscire dalle logiche di parte che riducono il dibattito ad una sterile e infantile contrapposizione, nella quale, in nome di una pretesa democrazia, si insulta e si riempie d’odio l’avversario, fino a puntargli un fucile contro.