Partecipare, non parteggiare

Anticipiamo l’editoriale del Presidente Nazionale Michele Finelli che sarà pubblicato sul Pensiero Mazziniano 1 del 2024

Partecipare, non parteggiare

Le istituzioni liberali da sole non garantiscono la tenuta della democrazia. Lo stiamo vedendo in questi giorni in paesi come Francia e Stati Uniti, dove il presidenzialismo, tradizionalmente ritenuto un argine alle dittature, potrebbe diventare lo strumento che apre loro la strada grazie alla polarizzazione dello scontro. L’esacerbazione del conflitto non nasce per caso, ma è frutto di una strategia comunicativa elaborata tra gli altri da Steve Bannon, ideologo della destra suprematista americana e già collaboratore di Trump: essa prevede che la discussione non avvenga nel merito delle questioni, ma sull’attacco personale e la distruzione dell’avversario. In tempi di diffuso individualismo questo atteggiamento di perenne contrapposizione, diffusosi capillarmente grazie ai social, mina il campo di valori comuni riconosciuti da tutti i partiti.
Su questi aspetti si è soffermato ad inizio luglio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un intervento a Trieste, osservando come una “democrazia a bassa intensità”, ovvero con un elevato tasso di astensionismo, sia destinata alla crisi. La democrazia, infatti – e come mazziniani lo ripetiamo da sempre – vive di partecipazione, determinante per la sua tenuta. Se prevale il “parteggiare”, specialmente attraverso i social, la democrazia si avvia alla marginalità, se non alla morte, perché si piega al conformismo e non ricerca la comprensione altrui.
Non a caso il Presidente ha aggiunto come condizione fondamentale per lo svolgimento di un dibattito la conoscenza, che possiamo ricondurre al concetto mazziniano di Educazione. L’imporsi della tecnologia sembra aver minato ogni processo di approfondimento, lasciando spazio all’emotività e alla “rabbia” dell’analfabetismo funzionale, fenomeno che purtroppo non coinvolge solo le giovani generazioni: quanto accaduto in questi giorni con la violenta discussione intorno alla pugile algerina Imane Khelif ne è una dimostrazione lampante. Mentre dai loro telefonini genetisti novelli e improvvisati esperti di pugilato difendevano l’orgoglio nazionale “violato”, in Ucraina la Russia utilizzava per la prima volta armi fornite dalla Corea del Nord, mentre nel Venezuela alleato di Russia e Cina il dittatore Maduro non riconosceva l’esito delle elezioni. Di fronte a tutto ciò è legittimo chiedersi, nel solco del dibattito lanciato durante la pandemia e sviluppato al congresso di Milano lo scorso settembre, se la democrazia sia ancora “utile”, soprattutto in presenza di un astensionismo così elevato e di un dibattito pubblico impoverito e “violento”. Ha ancora senso “battersi affinché non vi possano essere analfabeti di democrazia” come chiede il Presidente Mattarella? Per una Associazione come la nostra, oltre che necessario, resta vitale, proprio perché come è stato ricordato a Trieste “democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme”.
Come mazziniani riteniamo che la partecipazione sia l’antidoto alla personalizzazione della politica, ma anche l’assunzione di responsabilità di fronte ai problemi collettivi. Pensare che la

democrazia viva di vita propria nelle istituzioni e che esse solo possano garantire il soddisfacimento dei nostri diritti, significa lasciar spazio alle “democrature” e agli autoritarismi, dove proprio i diritti delle minoranze sono compressi o inesistenti. Se il diritto-dovere di voto è lo strumento più efficace a nostra disposizione per difendere la Costituzione, da solo non basta. Serve un confronto costante, all’interno del quale è maturata la posizione dell’A.M.I. su “premierato” e sul sostegno al referendum contro l’autonomia differenziata, fermo restando il dovuto e ovvio rispetto per le posizioni dei soci e la sacra libertà di voto.
Le parole tratte da un editoriale di Vittorio Parmentola del 1971 sull’ipotesi di Repubblica Presidenziale racchiudono al meglio il giudizio dei Mazziniani sulla riforma del “premierato”: “La proposta è fatta col pretesto di restaurare l’autorità decaduta e di conseguire stabilità nell’esecutivo; ma l’autorità, e quindi la stabilità, è fatta di prestigio morale, di coerenza e di meditata, ma poi attuata, attività legislativa ed amministrativa. La proposta appare perciò piuttosto diretta ad instaurare l’autoritarismo”. Tale progetto, cui sarà collegata una legge elettorale di cui si ignorano i contenuti, colpisce l’equilibrio tra i poteri dello Stato disegnato dai Costituenti per evitare scorciatoie dispotiche, e lo fa limitando drasticamente le funzioni del Presidente della Repubblica e riducendo il Parlamento ad un ruolo di mera facciata ed i partiti a comitati elettorali.
Se a questa “riforma” si accompagna l’“autonomia differenziata”, che mina il principio di solidarietà alla base dell’unità nazionale e con essa quella degli uguali diritti e doveri tra cittadini, il pericolo per la tenuta del paese è sotto gli occhi di tutti. Il nostro sostegno al referendum è coerente in primo luogo con la tradizione unitaria e repubblicana di Giuseppe Mazzini: fu in nome di questo spirito, voce isolata e fuori dal coro, che ci opponemmo nel 2001 alla riforma del titolo V della Costituzione, indicando anche i rischi che comportava gestire un passaggio costituzionale così delicato a colpi di maggioranza. In secondo luogo riteniamo che alla poca chiarezza fatta sui “Livelli essenziali di prestazioni” si associ la frammentazione di materie come istruzione e sanità, dirimenti per l’unità del paese. Infine, di fronte alle minacce che incombono sull’Unione Europea nel momento peggiore della storia mondiale dal 1945 – basti citare il Medio Oriente sull’orlo del baratro e la guerra in Ucraina – ci sia bisogno di un’Italia solidale e coesa.
Per tale ragione, nei prossimi mesi, continueremo a confrontarci su questo tema sia a livello nazionale che locale. Lo faremo col nostro spirito critico e mai prevaricatore, in nome dell’Umanità, categoria centrale nel pensiero di Mazzini, di cui molti tendono a dimenticarsi di fronte alla complessità delle sfide odierne. Lo dimostra il disinteresse con cui la politica ignora la delicata questione carceraria, più attenta a non perdere voti che preoccupata per i sessantuno suicidi in cella del 2024.

 

Foto di Giorgia Magni