Kabul e le Twin Towers, venti anni dopo
Indignarsi non serve
Le drammatiche immagini che giungono da Kabul marcano d’infamia la comunità internazionale, e certamente non saranno le ultime. Quando l’attenzione dei media sull’Afghanistan sarà calata, quanto di questo profondo sgomento sarà utile all’Unione Europea per disegnare una politica estera che guardi oltre le quote di profughi da accogliere, o alla Nato per emanciparsi dalla trazione americana? Perché Gran Bretagna, Italia e Francia non sono rimaste a Kabul?
Servivano i Talebani a ricordarci la condizione cui le donne sono sottoposte ogni giorno in Arabia Saudita o in Turchia, dove Erdogan ha messo sotto attacco anche la comunità LGBTQ? Il popolo curdo sta vivendo un dramma simile al popolo afghano, ma in pochi si sono strappati le vesti quando Trump lo ha abbandonato al suo destino nell’ottobre del 2019. Joe Biden ieri sera ha chiuso il cerchio, parlando cinicamente alla pancia degli Stati Uniti, con una pessima strategia comunicativa.
Ma finché ci accontenteremo di un mondo multipolare, in cui Cina e Russia hanno già aperto al “nuovo” regime, di Afghanistan ne vedremo ancora parecchi. Così come abbiamo assistito impotenti al massacro di Sebrenica. Finché derubricheremo ideali e Umanità a inutili orpelli, quasi un ostacolo alla politica odierna, il mondo non farà nessun passo in avanti.
I cittadini afghani caduti dall’aereo in decollo a Kabul mi hanno ricordato la disperazione di chi si lanciava dalle Twin Towers l’11 settembre del 2001. Venti anni dopo siamo al punto di partenza. Anzi, peggio. Siamo talmente assuefatti alla morte, ma così certi che non debba toccarci – nonostante il Covid – che pensiamo di risolvere tutto con l’indignazione, utile in ogni occasione. Per questo finché si sentirà parlare di “dittatura sanitaria”, sull’Afghanistan e su quel dramma dovremmo avere il pudore di tacere.