(Corriere del Mezzogiorno, 9 agosto, 2017 – di Alessandro Leogrande)Â
C’è una domanda che rischia di rimanere inevasa nel dibattito suscitato dall’istituzione della Giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Potrebbe suonare così: in una simile ricostruzione dei torti fatti e subiti, che ne facciamo dei patrioti meridionali? Che ne facciamo cioè di quei meridionali che, quasi sempre su posizioni repubblicane o democratico-radicali, lottarono e sovente sacrificarono la propria vita per l’unità del Paese, ritenendo che solo una penisola unita avrebbe garantito assetti istituzionali e sociali più giusti? Il fatto stesso che tali domande siano tenute ai margini da chi è favorevole all’istituzione della Giornata tradisce una visione distorta delle cose, come se da una parte ci fossero stati dei colonizzatori invasori (i piemontesi) e dall’altra un regno assediato (quello borbonico).
Così però si perde il senso dello scontro tra democratici e moderati, interno allo stesso Risorgimento meridionale, che si prolunga per diversi decenni, tanto che quei patrioti appaiono come illusi, traditori o, peggio ancora, agenti prezzolati dei Savoia, dell’Inghilterra, della massoneria. Non a caso l’Associazione Mazziniana Italiana , pronunciandosi contro l’istituzione della Giornata della memoria, ha ricordato la figura del giacobino Emanuele De Deo, che fu fatto arrestare su delazione di un prete per il solo fatto di aver provato a diffondere dei fogli antimonarchici.
Una volta incarcerato, De Deo si rifiutò di fare i nomi di altri giacobini suoi compagni e per questo venne impiccato. Aveva solo 22 anni. Si potrebbe estendere lo stesso ragionamento a Nicolò Mignogna, che fece la Spedizione dei Mille dopo aver partecipato ai moti del 1848, o al repubblicano Giovanni Bovio che — dopo l’unità — fu deputato della Sinistra e criticò la «piccola monarchia borghese» che governava con leggi eccezionali, senza per questo preconizzare il ritorno all’antico regime. Ai protagonisti del film di Mario Martone, Noi credevamo , e ancora prima ai rivoluzionari del 1799, sulla cui sorte rifletterono a lungo Vincenzo Cuoco e Benedetto Croce.
Come giudicano i neoborbonici questa terra di mezzo abitata dai patrioti meridionali? Proprio questa estate ricorrono i 160 anni dalla morte di Carlo Pisacane. Nel 1857 tentò di accendere la rivoluzione nel Cilento, con l’idea di farla propagare nell’Italia tutta. Fu considerato un esaltato, a pari modo, da Cavour e dal re di Napoli. Eppure è nel solco della sua esperienza e della sua riflessione che anni dopo si riannodarono le riflessioni e l’esperienza di una parte della Resistenza italiana, quella legata a Giustizia e Libertà e ai Rosselli. Era un traditore pure lui?